Capodanno nell’uso veneto: 1 marzo. La scelta della Serenissima di iniziare l’anno a marzo si rifaceva a tradizioni antiche, legate a riti arcaici, al culto della rinascita, la primavera, e della speranza: la vita prevale sulla morte e la natura torna a fiorire. Profondamente legato alla rinascita in Veneto il culto mariano: non è un caso se la pietà popolare fa coincidere le apparizioni della Vergine con i primi giorni di marzo: il 7 marzo 1426 a Vicenza a monte Berico la Madonna appare a donna Vicenza Pasini; il 9 marzo 1510 è la volta del miracoloso incontro tra il vecchio Giovanni Cigana e la Vergine a Motta di Livenza.
La tradizione popolare ci ha lasciato una testimonianza straordinaria di quest’ultimo incontro, con Maria che parla in Veneto: “Dio vi dia il bon dì” disse il vecchio spasesato nel trovarsi dinnanzi inaspettata una ragazza; “Bon dì e bon anno”, rispose la fanciulla “dove steo n’dando bon omo”?
In entrambe i casi, Monte Berico e Motta di Livenza, l’apparizione coincide con il Capodanno more veneto e con momenti drammatici: Vicenza era sconvolta dalla peste; il Trevigiano, nel 1510, come tutto il Veneto, devastato e saccheggiato dalle truppe delle Lega di Cambrai. Momenti durissimi, di morte, lutti, disperazione e dolore.
La promessa dalle liberazione della peste a Vicenza era chiaramente segno di Rinascita e speranza, legati appunto al Capodanno di Marzo. Ancora è la speranza ad essere fissata nel miracoloso tramonto che Maria aveva assicurato a Giovanni Cigana a dimostrazione della veridicità del loro incontro, un tramonto rosso sangue mai visto sino ad allora, chiaro segno di presagio: “pareva che fusse sta butà su el sangue con la palla” si legge nelle testimonianze di chi assistette all’evento. Un tramonto rosso, appunto segnale di tempi migliori. Sul dolore, sul sangue, prevale la speranza, la rinascita: il nuovo anno che avanza. “Bon dì e bon anno”.
Ecco la coincidenza tra il Capodanno Veneto e la figura mariana genitrice di vita che ci riporta a riti antichi ancor oggi presenti e vissuti nella Terraferma, dallo Schella Marz cimbro dell’Altipiano dei Sette Comuni al Ciamar Marso recoaerese, con le notti dei fuochi della Pedemontana, lungo quell’antico itinerario del “Chalandamarz” che arriva sino al cuore europeo. Feste tipiche del rinnovamento, con precise cadenze, con il momento centrale della festa che vede l’eliminazione del male e il preparare la strada agli eventi favorevoli e, possibilmente fausti, del nuovo che avanza, come già, a gennaio, avevano indicato i roghi del Pan e Vin trevigiani e veneziani.
Vita, speranza, rinnovamento, primavera e nascita dell’anno: a marzo, il 25, la Chiesa celebra l’Annunciazione, l’avvio della storia della Salvezza attraverso l’Incarnazione. Il 25 marzo è, non casualmente, anche il giorno della fondazione mitica di Venezia oltre che anticamente data dell’equinozio primaverile. Venezia, la sua Repubblica, si fanno carico di continuare e rinnovare una antica storia.
Dietro al “Bon anno” di mariana memoria c’è tutto il mistero della vita, ma c’è anche la volontà di chi ci insegna a guardare al futuro con fede e speranza. Maria, nei primi di marzo, chiede a Giovanni Cigana “dove steo n’dando bon omo”? Chiediamocelo anche noi dove stiamo andando in questi anni durissimi e amari, carichi di violenza e di uomini che predicano la morte con feroce barbaria. Chiediamocelo con la forza e il coraggio della speranza: il Capodanno veneto ci insegna a non disperare mai e a credere nella vita e nei ritmi naturali. Bon anno a tutti.
28 febbraio 2015
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