Il giorno della memoria dovrebbe essere il giorno del silenzio in cui si chiede perdono, silenzio da riempire con un pensiero, una preghiera, un ricordo. Non è il giorno delle polemiche ma nemmeno la ricorrenza con cui, il più velocemente possibile, lavare la coscienza collettiva e così evitare di fare i conti con la nostra storia, con le nostre responsabilità.
Foibe, campi di prigionia, navi stracolme di esuli a cui venne impedito l’attracco nei porti, treni boicottati e via via dicendo: più che il ricordo dovrebbe contare la vergogna per quanto accadde in quei mesi amari.
Abbiamo fatto veramente i conti con quella pagina oscura del profugato istriano e dalmata? O i più hanno rimosso quelle giornate drammatiche in cui si negava l’evidenza giungendo persino a negare l’accoglienza e l’ospitalità ai profughi istriani o dalmati. Chi ricorda il treno delle vergogna e il suo arrivo nella stazione di Bologna nella mattinata del 18 febbraio 1947 quando fu negato alla Croce Rossa e alla Pontificia opera d’assistenza di portare pasti caldi a quella gente fuggita da Pola stipata in carri merci? Peersino il Giro d’Italia fu preso a sassate per impedire che i girini arrivassero a Trieste: era stato eletto, da poche ore, il primo presidente della Repubblica, ma evidentemente c’erano italiani di serie B.
Non si tratta di rinvangare momenti che vanno necessariamente contestualizzati nel clima dell’epoca, ma è necessario ricordare che si tentò di trasformare le vittime in colpevoli: migliaia e migliaia di veneti-istriani e dalmati costretti ad abbandonare la loro terra natale, dove per secoli etnie diverse avevano condiviso gioie, amarezze, speranze.
Ci fu la tragedia delle foibe e non l’ultimo insulto sofferto da chi aveva già perduto tutto: l’ultimo insulto fu la menzogna, il silenzio, la rimozione infastidita.
Un giorno speriamo che nelle nostre scuole in occasione dell’11 febbraio si leggano quelle pagine che Ligio Zanini nel suo Martin Muma dedicò all’esodo di Pola e allo spaesamento di quei giorni vissuto da chi aveva fatto la scelta di campo di restare in Istria. Sono pagine dolorose: “….Passò così la terza estate e l’ultima, per i Polesi rimasti, in cui, drio la Rena, si poté esprimere la propria opinione politica, anche se contraria al vento predominante, senza la paura del delatore, del sporco spiòn, che ti facesse vedere il sole a scacchi o come minimo, un’ulteriore aggiunta alla scheda personale che sarebbe stata tirata fuori, al momento opportuno, da chi di competenza…”
Così, senza retorica, senza accusare chicchessia di errori ed orrori guardiamo a quei giorni con il rispetto che si deve alle vittime della storia, senza aggiungere altro, se non, appunto, una preghiera, un pensiero, un ricordo con il capo chino di chi chiede perdono per l’’assurdo oblio, più duro d’ogni prigione, in cui tanti martiri ed eroi silenziosi furono troppo a lungo imprigionati.
10 febbraio 2015
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